domenica 18 marzo 2012

TORELLI L’EROE E LE CINQUE GIORNATE DI MILANO


Da “101 Storie su Milano che non ti hanno mai raccontato” di Francesca Belotti – Gian Luca Margheriti – Newton Compton Editori

E’ la mattina di lunedì 20 marzo 1848. Anche oggi la città si è svegliata sotto un cielo plumbeo, a tratti pioviggina.
Intorno al Duomo i suoni delle cannonate arrivano attutiti. Milano non sembra nel pieno della battaglia. I cittadini che passano dalla piazza per raggiungere le barricate, o per cercare armi e munizioni, o più semplicemente alla ricerca di qualcosa da mangiare, si fermano e alzano gli occhi al cielo. Un uomo sta scalando la guglia più alta della cattedrale. Si tratta di Luigi Torelli, un eroe della rivoluzione.
Quella mattina si è alzato all’alba e in compagnia di Scipione Bagaggia ha deciso di salire sul Duomo. I suoi concittadini hanno bisogno di un segno, devono sapere che quella guerra si può vincere e che la libertà è davvero a portata di mano.
Ignorando la possibilità che gli austriaci abbiano minato il tetto, i due uomini si inerpicano per le scale del Duomo fino allo spiazzo ai piedi della guglia principale. Qui il solo Torelli, con la bandiera avvolta addosso, sfida le ultime decine di metri di salita fino a trovarsi faccia a faccia con la Madonnina. Allora spiega il tricolore e lascia che il vento portatore di pioggia lo faccia garrire contro il cielo grigio. Dalla piazza la cittadinanza accompagna la vista della bandiera con urla e applausi. Ora Milano è davvero pronta per la vittoria finale, ma c’è ancora molto da fare.
L’insurrezione, quella che verrà poi ricordata come le Cinque Giornate, era cominciata tre giorni prima, il 18 marzo. Ci si era arrivati come sempre, per una serie di piccole cause concatenate, che avevano fatto perdere il controllo di una situazione già esplosiva di per sé. Il governo austriaco schiacciava Milano sotto il suo tallone autoritario da più di trent’anni. Tutti i moti rivoluzionari si erano risolti in una bolla di sapone. Ma ora il mondo era maturo per qualcosa di nuovo.
Pio IX, salito al soglio pontificio nel ’46, si scagliò senza remore contro gli invasori austriaci. Anche i Milanesi acquistarono coraggio e nei primi giorni del ’48 indirono lo sciopero del fumo. La popolazione smise di fumare e di giocare al lotto, entrambi monopoli imperiali, per far perdere ingenti quantità di denaro al governo austriaco.
La situazione scappò subito di mano agli invasori, che lasciarono i militari liberi di fare quello che volevano, pur di far tornare ai milanesi la voglia di fumare. I soldati ovviamente usarono il pugno di ferro e in breve a Milano si contarono i primi morti. A fine giornata i morti erano parecchi. Questo causò la definitiva rottura tra i milanesi e il governo austriaco. Milano diventò una città fantasma. Non si usciva più la sera, chi non aveva ragioni lavorative per spostarsi restava chiuso in casa con le serrande abbassate. Nessuno voleva incrociare un austriaco. Nemmeno per sbaglio.
Ma come il fuoco che cova sotto la cenere, fu sufficiente un piccolo alito di vento per scatenare un incendio. E quel poco di vento arrivò la sera del 17 marzo, quando a Milano giunse la notizia dell’insurrezione avvenuta a Vienna e delle conseguenti concessioni che l’imperatore aveva fatto ai cittadini.
La mattina dopo la popolazione si riunì al Broletto. L’intenzione era quella di costringere il podestà, Gabrio Casati, a marciare fino al palazzo del Governo, in corso Monforte, e chiedere al governatore austriaco Spaur di rimettere i poteri nelle mani della città e dei suoi governanti. Quello che i milanesi ancora non sapevano era che Spaur era già fuggito, lasciando tutto il potere nelle mani di Maximilian O’Donnel.
Il corteo si mosse per le strade di Milano in maniera disordinata. Un numero sempre maggiore di persone si unì alla folla diretta dal governatore. La gente cominciò ad affacciarsi alle finestre e a inneggiare all’Italia e a Pio IX. La rivolta stava per scoppiare.
I milanesi ebbero facilmente ragione delle guardie del governatore e riuscirono a fare prigioniero O’Donnel. Nel frattempo il feldmaresciallo Radetzky dichiarò lo stato di assedio e preparò le truppe al combattimento. Era la guerra.
La prima barricata, costruita con qualunque cosa capitasse a tiro, mobili lanciati dalle finestre delle case, botti, addirittura carrozze o libri, sorse davanti alla chiesa di San Damiano. Qualunque cosa diventava un’arma: un bastone, dei chiodi, gli utensili da cucina. Si dovevano fronteggiare le cinquecentomila baionette austriache arrangiandosi come si poteva.
I milanesi combatterono con un coraggio da leoni e sembrano azzeccate le parole che Ignazio Cantù usa nel suo libello sulle Cinque Giornate, uscito solo sei giorni dopo la fine degli scontri: “Noi popolo dabbene, socievole, cordiale, elegante, improvvisammo un esercito di eroi; vidi una gioventù affatto muova alle armi, combattere con la tattica di un veterano: vidi vecchi, donne, fanciulli dallo spavento della legge marziale volare d’improvviso come lioni alla vittoria sui loro oppressori”.
Mentre le campane suonavano a distesa per tutta la città fino a spezzarsi, i milanesi innalzarono barricate in tutte le vie. Secondo Carlo Cattaneo, padre della rivoluzione, se ne conteranno fino a 1650. Nel frattempo bandiere tricolore cominciarono a sventolare a ogni finestra. Sui tetti delle case si organizzarono donne e bambini con sassi e olio bollente, pronti a rovesciarli su qualunque austriaco si fosse fatto vedere. La città era pronta.
Il giorno successivo Milano si svegliò sotto una coltre di  pioggia. Fin dalle prime ore dell’alba gli scontri cominciarono ad accendersi in ogni parte della città, ma le barricate fecero la loro funzione. Si cominciò a saccheggiare le armerie dei musei e dei nobili collezionisti. Accanto a gente armata di schioppi e fucili, non era strano trovare milanesi in armatura e spadone. Ma la difesa resse. Si continuò così anche il 20 e i milanesi cominciarono anche a conquistare posizioni. Si impossessarono del Duomo, di Palazzo Reale, del Broletto, della Direzione di Polizia. Decine di personalità del governo austriaco caddero nelle mani degli insorti.
Ma gli austriaci non combattevano regolarmente nonostante la superiorità dei mezzi. Durante l’assedio di Porta Ticinese le truppe austriache, asserragliate e circondate dalla folla armata, smisero di sparare ed esposero la bandiera bianca. Anche i milanesi deposero le armi e, innalzate grida di vittoria, inalberarono anche loro una bandiera bianca per rispondere agli austriaci. Alcuni milanesi si avvicinarono per entrare nella Porta, quando dalle finestre nuove scariche di colpi uccisero decine di cittadini che erano ormai allo scoperto.
La Porta fu conquistata nel corso della notte. E nonostante l’accaduto, i milanesi non si lasciarono andare a scene di scempio nei confronti dei militari austriaci.

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