venerdì 30 dicembre 2011

MARINETTI E IL FUTURISMO GASTRONOMICO


Da “101 Storie su Milano che non ti hanno mai raccontato” di Francesca Belotti – Gian Luca Margheriti – Newton Compton Editori

Prendete un salame, disponetelo su un piatto e prima di servirlo annaffiatelo con del caffè espresso e spargete un pizzico di acqua di colonia. E voilà, il “Porco eccitato” è servito
È solo una delle tante ricette messe a punto dai futuristi dopo che il 30 dicembre 1930 Filippo Tommaso Marinetti pubblica sulla Gazzetta del Popolo di Torino il Manifesto della cucina futuristica.
La ricetta in questione è una creazione di Fillia, ma ne esistono molte altre dai nomi altrettanto bizzarri, vedi “Brucioinbocca” di Barosi, “Percazzottare” di Saladin, “Risotto d’imene al peccato d’amore” di Marinetti, “Uova divorziate” di Giachino e “Mammelle italiane al sole” di Mori da accompagnare con “vini italiani ed acque non contaminate”.
Il Manifesto è una sfida alla cucina tradizionale, dato che “si pensa si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia”, oltre al fatto che non è auspicabile che “l’Italiano diventi cubico massiccio”, ma anzi “prepariamo una agilità di corpi italiani adatti ai leggerissimi treni di alluminio che sostituiranno gli attuali pesanti di ferro legno acciaio”. I futuristi inoltre condannano la pastasciutta “assurda religione gastronomica italiana”, meno nutriente di carne, pesce e legumi, senza contare che la sua abolizione “libererà l’Italia dal costoso grano straniero e favorirà l’industria italiana del riso”.
Per quanto riguarda la consumazione dei pasti, il Manifesto propone l’eliminazione di forchetta e coltello, il divieto di qualsiasi conversazione che verta sulla politica, un sottofondo musicale tra una portata e l’altra ma non mentre si mangia, , perché distrae i sensi; e un profumo da accompagnare a ogni piatto, che sarà poi cancellato dai ventilatori (ecco spiegata l’acqua di colonia ingrediente del “Porco eccitato”). In più i piatti dovrebbero stuzzicare la vista ancor prima del palato, per questo i futuristi inventano il “carne plastico”. Ecco l’esempio di come viene preparato il complesso plastico mangiabile “Equatore + Polo Nord” creato dal pittore futurista Enrico Prampolini: “E’ composto da un mare equatoriale di tuorli rossi d’uova all’ostrica con pepe, sale e limone. Nel centro emerge un cono di chiaro d’uovo montato e solidificato pieno di spicchi d’arancio come succose sezioni di sole. La cima del cono sarà tempestata di pezzi di tartufo nero tagliato in forma di aeroplani negri alla conquista zenit”.
Accanto a questi piatti elaborati si possono però trovare anche un “normale” risotto all’arancia (il riso alle fragole o alle mele prenderà piede negli anni Settanta), il “Boccone squadrista”, ovvero filetti di pesce con le mele, e ancora il cosiddetto “Aeroporto piccante”, un’insalata russa accompagnata da frutta fresca. Si fa inoltre accenno alla chimica gastrica e “al dovere di dare presto al corpo le calorie necessarie mediante equivalenti nutritivi gratuiti di Stato, in polvere o pillole”, oltre che all’uso in cucina di strumenti scientifici come ad esempio le lampade per l’emissione di raggi ultravioletti, perché alcuni cibi se irradiati acquistano proprietà attive. Si tratta di un manifesto forse meno conosciuto  del più famoso Manifesto del futurismo scritto da Marinetti e consegnato alla stampa nel 1909, ma di certo ha anticipato i temi se si pensa che in alcune città americane sta prendendo piede la cucina molecolare (“gastronomica” per chi la snobba) con tanto di tecnochef ai fornelli alle prese con raggi laser, centrifughe e acceleratori di particelle di ioni, che propongono ai loro clienti foie gras elastico, gelato all’azoto e maionese fritta.
Anche questo è Futurismo, il movimento artistico e letterario che esalta la modernità e le scoperte scientifiche, trovando i natali proprio a Milano, grazie ad artisti come Marinetti, Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo e alla rivista simbolista meneghina “Poesia”, fondata nel 1905 dallo stesso Marinetti. Rivista che è stata pensata nella cosiddetta “Casa Rossa” (dal rivestimento in cotto), un tempo al numero 61 di corso di Porta Venezia, dove nell’appartamento al primo piano abita la famiglia Marinetti. Filippo Tommaso è nato ad Alessandria d’Egitto, ha studiato a Parigi e ora ospita i suoi amici futuristi nell’appartamento di papà Enrico e mamma Amalia per poi magari fare una puntatina alla Galleria Vittorio Emanuele II, non prima di aver fatto notare ad alcune ragazze che lui e i suoi compari son fra i più potenti geni d’Italia. L’edificio sarà poi abbattuto nel 1928, ma proprio di fronte a palazzo Serbelloni, in corso Venezia, si trova una targa a ricordo di Marinetti.
Dalla Casa Rossa al Savini, dove Marinetti ricorda di aver avuto una discussione con Tito Ricordi, direttore dell’omonima casa editrice musicale, ammettendo di averlo insultato violentemente “ad alta voce da un tavolino all’altro”. E ancora: a Parma non dimentica i “cazzotti in quantità”, e, durante una rissa, ci tiene a sottolineare che ne è uscito indenne, mentre Boccioni e Carrà le prendono di santa ragione e sono costretti a farsi medicare dalla guardia medica. Sono botte anche quando Marinetti e i suoi organizzarono una Grande serata di poesia futurista al Teatro Lirico scagliandosi contro l’Internazione e l’Austria, e accendendo gli animi che non si placano né in teatro né in strada, fino a quando li scontri saranno sedati dalle forze dell’ordine.
Poco dopo la nascita del movimento politico dei Fasci italiani di combattimento ha invece luogo un duro scontro tra un gruppo di fascisti e alcuni socialisti riuniti in piazza Garigliano per assistere a un comizio. Dal palco l’anarchico Ezio Schiaroli accusa Mussolini di esser un traditore, e la polizia sospende subito il raduno temendo che possa sfociare in una sommossa. Mentre la folla si disperde, si verificano i primi disordini: colano pietre ed esplodono alcuni colpi di pistole. Risultato: un morto e diversi feriti. I fascisti, usciti vincitori dagli scontri, si dirigono verso la sede dell’”Avanti!”. La confusione è tanta si spara da una parte e dall’altra. Le camicie nere entrano nell’edificio e distruggono tutto ciò che gli capito sotto tiro; poi, staccata l’insegna del quotidiano socialista, la depositano accanto al monumento equestre di Vittorio Emanuele II, in piazza del Duomo. Tra di loro c’è anche il Marinetti goliardico che, come i fascisti, desidera un’Italia più dinamica

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