Da “101 Storie su Milano che non
ti hanno mai raccontato” di Francesca Belotti – Gian Luca Margheriti – Newton
Compton Editori
Prendete un salame, disponetelo su
un piatto e prima di servirlo annaffiatelo con del caffè espresso e spargete un
pizzico di acqua di colonia. E voilà, il “Porco eccitato” è servito
È solo una delle tante ricette messe
a punto dai futuristi dopo che il 30 dicembre 1930 Filippo Tommaso Marinetti
pubblica sulla Gazzetta del Popolo di Torino il Manifesto della cucina futuristica.
La ricetta in questione è una
creazione di Fillia, ma ne esistono molte altre dai nomi altrettanto bizzarri,
vedi “Brucioinbocca” di Barosi, “Percazzottare” di Saladin, “Risotto d’imene al
peccato d’amore” di Marinetti, “Uova divorziate” di Giachino e “Mammelle
italiane al sole” di Mori da accompagnare con “vini italiani ed acque non
contaminate”.
Il Manifesto è una sfida alla cucina
tradizionale, dato che “si pensa si sogna e si agisce secondo quel che si beve
e si mangia”, oltre al fatto che non è auspicabile che “l’Italiano diventi
cubico massiccio”, ma anzi “prepariamo una agilità di corpi italiani adatti ai
leggerissimi treni di alluminio che sostituiranno gli attuali pesanti di ferro
legno acciaio”. I futuristi inoltre condannano la pastasciutta “assurda
religione gastronomica italiana”, meno nutriente di carne, pesce e legumi,
senza contare che la sua abolizione “libererà l’Italia dal costoso grano
straniero e favorirà l’industria italiana del riso”.
Per quanto riguarda la consumazione
dei pasti, il Manifesto propone l’eliminazione di forchetta e coltello, il
divieto di qualsiasi conversazione che verta sulla politica, un sottofondo
musicale tra una portata e l’altra ma non mentre si mangia, , perché distrae i
sensi; e un profumo da accompagnare a ogni piatto, che sarà poi cancellato dai
ventilatori (ecco spiegata l’acqua di colonia ingrediente del “Porco eccitato”).
In più i piatti dovrebbero stuzzicare la vista ancor prima del palato, per
questo i futuristi inventano il “carne plastico”. Ecco l’esempio di come viene
preparato il complesso plastico mangiabile “Equatore + Polo Nord” creato dal
pittore futurista Enrico Prampolini: “E’ composto da un mare equatoriale di
tuorli rossi d’uova all’ostrica con pepe, sale e limone. Nel centro emerge un
cono di chiaro d’uovo montato e solidificato pieno di spicchi d’arancio come
succose sezioni di sole. La cima del cono sarà tempestata di pezzi di tartufo
nero tagliato in forma di aeroplani negri alla conquista zenit”.
Accanto a questi piatti elaborati si
possono però trovare anche un “normale” risotto all’arancia (il riso alle
fragole o alle mele prenderà piede negli anni Settanta), il “Boccone squadrista”,
ovvero filetti di pesce con le mele, e ancora il cosiddetto “Aeroporto piccante”,
un’insalata russa accompagnata da frutta fresca. Si fa inoltre accenno alla
chimica gastrica e “al dovere di dare presto al corpo le calorie necessarie
mediante equivalenti nutritivi gratuiti di Stato, in polvere o pillole”, oltre
che all’uso in cucina di strumenti scientifici come ad esempio le lampade per l’emissione
di raggi ultravioletti, perché alcuni cibi se irradiati acquistano proprietà
attive. Si tratta di un manifesto forse meno conosciuto del più famoso Manifesto del futurismo scritto da Marinetti e consegnato alla
stampa nel 1909, ma di certo ha anticipato i temi se si pensa che in alcune
città americane sta prendendo piede la cucina molecolare (“gastronomica” per
chi la snobba) con tanto di tecnochef
ai fornelli alle prese con raggi laser, centrifughe e acceleratori di
particelle di ioni, che propongono ai loro clienti foie gras elastico, gelato
all’azoto e maionese fritta.
Anche questo è Futurismo, il
movimento artistico e letterario che esalta la modernità e le scoperte scientifiche,
trovando i natali proprio a Milano, grazie ad artisti come Marinetti, Umberto
Boccioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo e alla rivista simbolista meneghina “Poesia”,
fondata nel 1905 dallo stesso Marinetti. Rivista che è stata pensata nella
cosiddetta “Casa Rossa” (dal rivestimento in cotto), un tempo al numero 61 di
corso di Porta Venezia, dove nell’appartamento al primo piano abita la famiglia
Marinetti. Filippo Tommaso è nato ad Alessandria d’Egitto, ha studiato a Parigi
e ora ospita i suoi amici futuristi nell’appartamento di papà Enrico e mamma
Amalia per poi magari fare una puntatina alla Galleria Vittorio Emanuele II,
non prima di aver fatto notare ad alcune ragazze che lui e i suoi compari son
fra i più potenti geni d’Italia. L’edificio sarà poi abbattuto nel 1928, ma
proprio di fronte a palazzo Serbelloni, in corso Venezia, si trova una targa a
ricordo di Marinetti.
Dalla Casa Rossa al Savini, dove
Marinetti ricorda di aver avuto una discussione con Tito Ricordi, direttore
dell’omonima casa editrice musicale, ammettendo di averlo insultato
violentemente “ad alta voce da un tavolino all’altro”. E ancora: a Parma non
dimentica i “cazzotti in quantità”, e, durante una rissa, ci tiene a
sottolineare che ne è uscito indenne, mentre Boccioni e Carrà le prendono di
santa ragione e sono costretti a farsi medicare dalla guardia medica. Sono
botte anche quando Marinetti e i suoi organizzarono una Grande serata di poesia futurista al Teatro Lirico scagliandosi
contro l’Internazione e l’Austria, e accendendo gli animi che non si placano né
in teatro né in strada, fino a quando li scontri saranno sedati dalle forze dell’ordine.
Poco dopo la nascita del movimento politico
dei Fasci italiani di combattimento ha invece luogo un duro scontro tra un
gruppo di fascisti e alcuni socialisti riuniti in piazza Garigliano per
assistere a un comizio. Dal palco l’anarchico Ezio Schiaroli accusa Mussolini
di esser un traditore, e la polizia sospende subito il raduno temendo che possa
sfociare in una sommossa. Mentre la folla si disperde, si verificano i primi
disordini: colano pietre ed esplodono alcuni colpi di pistole. Risultato: un
morto e diversi feriti. I fascisti, usciti vincitori dagli scontri, si dirigono
verso la sede dell’”Avanti!”. La confusione è tanta si spara da una parte e
dall’altra. Le camicie nere entrano nell’edificio e distruggono tutto ciò che
gli capito sotto tiro; poi, staccata l’insegna del quotidiano socialista, la
depositano accanto al monumento equestre di Vittorio Emanuele II, in piazza del
Duomo. Tra di loro c’è anche il Marinetti goliardico che, come i fascisti, desidera
un’Italia più dinamica
Nessun commento:
Posta un commento