Da “101 Storie su Milano che non
ti hanno mai raccontato” di Francesca Belotti – Gian Luca Margheriti – Newton
Compton Editori
Sono Ambrogio, vescovo di
Milano.Il camerlengo, ancora intontito dal sonno, non capì esattamente chi si
trovava davanti. “Devo parlare immediatamente con il Santo Padre”, continuò
Ambrogio.
L’uomo
ora cominciava a perdere la pazienza. Come si permetteva quello sconosciuto di
presentarsi così presto alla porta del papa e pretendere di tirarlo giù dal
letto?
“Mi
dispiace ma temo che ora non sia proprio possibile. Meglio che si ripresenti
più tardi”.
Ambrogio
era sdegnato. Era partito la sera prima da
Milano con la sua mula, Betta, ed era miracolosamente arrivato a Roma in
poche ore. E non aveva certo tempo da perdere. Entrò nella stanza, si tolse il
mantello con cui si era protetto dal freddo della notte e, non trovando un
appiglio migliore, lo appese su un raggio del sole mattutino che filtrava oltre
le pesanti tende di broccato. Quando il camerlengo vide un simile prodigio,
ritenne che per una mattina il papa poteva alzarsi presto e ricevere quello
strano personaggio che evidentemente doveva essere un santo.
Il
camerlengo corse ad avvertire il papa mentre Ambrogio guardava dalla finestra i
tetti di Roma.
“Ti ho
fatto chiamare e ti aspettavo, Ambrogio, ma non certo così presto”. IL papa
entrò, ancora assonnato, nella sala, avvolto nella sua vestaglia di seta. “Ci
sono importanti questioni che dobbiamo discutere circa la tua diocesi”.
“Va
bene, ma facciamo presto. Voglio essere di ritorno a Milano per dire messa. E
le campane del Duomo stanno già suonando”.
Il
papa rimase perplesso a guardare fuori dalla stessa finestra da cui Ambrogio
fissava i tetti di Roma. Il Duomo? Come poteva da lì sentire le campane del
Duomo di Milano? “E tu vuoi farmi credere che senti le campane di Milano?”
“Certo
Santità. E se appoggerete un piede sopra il mio, le sentirete anche voi”.
Il
papa incuriosito appoggiò il piede calzato da una babbuccia sopra le scarpe di
Ambrogio e, miracolo, sentì le campane del Duomo che suonavano a distesa.
Il
Santo Padre non pose ostacoli. Parlò con Ambrogio delle questioni che riguardavano
l’amministrazione della sua diocesi nel minor tempo possibile e lo lasciò
libero di rimontare sulla sua mula per tornare dai suoi concittadini che lo
aspettavano per la messa. Era certo di aver appena parlato con un santo.
Questo
fu solo uno dei tanti miracoli che Ambrogio compì ancora in vita. Un altro ci
racconta di tre fanciulle orfane e povere, ma veramente povere. Tanto povere
che avevano un solo vestito buono per andare a messa e quindi dovevano andarci
a turno, una per volta.
Un
giorno Ambrogio, passando davanti alla casa delle tre ragazze, vide tre angeli
che danzavano sopra il tetto. Il vescovo non sapeva chi abitava nella casa, ma
dalla presenza degli angeli capì che chiunque fosse, doveva essere buono,
onesto e meritevole di aiuto. Ambrogio entrò e ascoltò la drammatica storia delle
tre sorelle che da quando avevano perso i genitori non avevano nemmeno di che
mangiare.
Il
vescovo non ci pensò due volte e fece dono alle tre sventurate di una borsa di
denaro fatata. La borsa sarebbe stata sempre piena. Unica condizione: non
buttare i soldi in frivolezze, pena l’ira del Signore.
Le
ragazze presero la borsa e si profusero in inchini e ringraziamenti. A breve
Ambrogio si ritrovò a passare davanti a quella stessa casa. Questa volta però
sul tetto non vide danzare tre angeli, ma tre demoni. Inferocito, il futuro
santo entrò nella casa e la vide arredata con mobili sfarzosi, tende e
broccati. La tavola era imbandita di ogni ben di dio, avanzato e abbandonato.
Ovunque bei ragazzi sfaccendati stavano pigramente adagiati su divani e
poltrone. Ambrogio girò la casa finché non trovò le tre ragazze. Erano abbigliate
con i più begli abiti che l’epoca potesse consentire. E se ne stavano annoiate
a guardare tutta la loro ricchezza.
Ambrogio
fu implacabile: avevano peccato, avevano tradito la sua fiducia. Avrebbero dovuto
pagare per il resto della vita. Ambrogio si riprese la borsa fatata e le
obbligo ad andare nel deserto a fare penitenza per poter almeno salvare la loro
anima. Le ragazze, dispiaciute e terrorizzate, partirono subito alla ricerca di
un deserto, cosa non tanto facile a Milano. E lì restarono per il resto della
loro vita, a piangere e pregare su quel denaro che era stato causa di tanta
follia. Quando morirono, il cielo di Milano fu solcato dal volo di tre colombe
bianche. Erano le loro anime che si erano riappacificate con il Signore.
Ma i
miracoli di Ambrogio cominciarono fin dalla più tenera infanzia. Quando era
ancora in fasce uno sciame di api si avventò sulla culla del futuro santo.
Alcune api gli entrarono nella bocca socchiusa e ne uscirono senza ferirlo.
Quando i genitori riuscirono ad avvicinarsi al bambino, si accorsero che le api
avevano lasciato nella sua bocca alcune gocce di miele. Era chiaramente un
segno che quel bambino sarebbe stato un grande saggio e un grande oratore.
A
volte i miracoli compiuti da Ambrogio lo preservarono dalla morte, come quando
Giustina, madre dell’imperatore Valentiniano, inviò un sicario per uccidere l’odiato
vescovo. Il sicario riuscì a introdursi nella camera di Ambrogio ma quando
cercò di sollevare l’ascia con cui avrebbe dovuto uccidere il vescovo, si rese
conto di avere le braccia paralizzate. Sempre Giustina attentò ancora una volta
alla vita di Ambrogio quando questi si recò in visita in Pannonia. Giustina
aveva incaricato Aika, una donna del luogo, di aspettare Ambrogio sul
presbiterio della chiesa dove avrebbe celebrato la messa. Al suo passaggio
avrebbe dovuto spingerlo giù dall’altare. Ambrogio arrivò e Aika afferrò le sue
vesti per spingerlo ma in quello stesso istante la donna fu pervasa da un’improvvisa
e spossante stanchezza. Non solo non riuscì a spostare minimamente il vescovo,
ma fu lei a cadere sopraffatta da una forza soprannaturale.
Ambrogio
morì serenamente il 4 aprile del 397. Le sue spoglie furono portate nella
chiesa che avrebbe poi preso il suo nome, per essere sepolte accanto ai corpi
di Gervasio e Protasio, due martiri cristiani le cui spoglie erano state
ritrovate dallo stesso Ambrogio. Il futuro santo li aveva fatti seppellire uno
accanto all’altro riservando per lui il posto a sinistra dei due. Quando il sarcofago
fu aperto per deporvi l corpo di Ambrogio, Gervaso e Protasio si scostarono per
accoglierlo in mezzo a loro. In quello stesso momento un enorme sciame di api
sorvolò il sepolcro per poi disperdersi nel caldo della primavera.
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