Da “Voglia di pane” di Anna Prandoni e Sara Gianotti –
Ed. De Vecchi
Fin dalle origini l’acqua e i cereali sono stati gli
ingredienti di base dell’alimentazione umana. I cereali allo stato naturale e
il sistema digerente umano sono però incompatibili. L’uomo deve avere
sviluppato perciò fin dal Neolitico un metodo per cuocere i cereali.
Secondo le
teorie più diffuse, prima dell’introduzione della ceramica il metodo usato
sarebbe stato quello dell’ebollizione in buche. Ma questo sistema era scomodo e
macchinoso, specialmente se doveva fare seguito al processo già molto
impegnativo dell’eliminazione della loppa mediante sfregamento con pietre e
della frantumazione per mezzo di mortaio e pestello. Le possibilità alternative
sembrano ancor meno probabili: recipienti come conchiglie, secchi di cuoio e
stomaci di animali avevano una durata troppo breve per poter essere usati
costantemente. È difficile che minuscole particelle di grano venissero gettate
direttamente nel fuoco a cuocere, e le pietre caldissime del focolare non
potevano certo accogliere più di una manciata o due di chicchi. Presto tuttavia
fu scoperto un metodo per cucinare i cereali che eliminava interamente il
problema dei recipienti: le superfici su cui si trebbiava venivano riscaldate
tanto da arrostire i granelli nello stesso tempo in cui si rompeva la loppa.
I chicchi arrostiti sulla superficie di trebbiatura
venivano privati della loppa nel modo abituale e pestati in un mortaio. Il
tritello ottenuto non necessitava di ulteriore cottura per essere digeribile ed
era il sapore gradevolissimo; era però troppo secco per essere consumato
direttamente. La soluzione più semplice consisteva nell’aggiungere un poco
d’acqua al miscuglio, impastandolo fino a trasformarlo in una sorta di polenta
consistente. Questo cibo doveva essere simile alla maza greca (focaccia, impasto, pane)e alla puls romana (farinata, polenta di farina di farro).
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